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Artisti da strapazzo

Su tutte le cantonate immensi cartelloni a tre coloriannunziavano:

CAFFÈ-CONCERTO NAZIONALE
QUESTA SERA
DEBUTTO DI MADAMIGELLA EDVIGE
GRAN SUCCESSO DEL GIORNO
SENZA AUMENTO SUL PREZZO DELLE CONSUMAZIONI

I pochi avventori mattutini del «Caffè-Concerto Nazionale»già avvezziai grandi successinon degnavano neppure di un'occhiata il lenzuolo biancoverde e rossosciorinato dietro il bancosul capo della padronala qualestava discutendo con una ragazza alta e magrache la supplicava a voce bassain atteggiamento umileinfagottata nella cappa lisa. In un canto il lavapiattisbracciato scopava un tavolone che la sera faceva da palcoparato a drappellonibianchiverdi e rossi; ornato di corone d'alloro di cartache pendevanomalinconiche.
La padrona scrollava il capo ostinatamentestringendosi nelle spalle. L'altrainsisteva sempre a mani giuntefacendosi rossaquasi piangendo. Infinecomeentrò un forestiero stracco a bere un moka da venti centesimicol naso sulgiornale del giorno innanzila ragazza si rassegnò ad intascare i pochi soldiche la padrona le contava ad uno ad uno sul marmocon un fare d'elemosina.
Alle otto in punto di seraaccesi i lumi del pianoforteil maestroungiovanotto allampanato sotto una gran barba e uno zazzerone che se lomangiavanodopo un grande inchino alla sala quasi vuotaincominciòtimidamente una ouverture di propria fabbricamentre il «Caffè-ConcertoNazionale» andavasi popolando a poco a poco. Dopo montò sul tavolone un pezzod'uomovestito tutto di rosso come un gambero cottocon due enormisopracciglia alla chineseper darsi un'aria satanicae dei cornettiinargentati. Egli si mise ad urlare «la canzone dell'oro» come un ossessoallargando le gambe sul tavolatostendendo gli artigli minacciosi versol'uditoriocon certi occhi terribili e certe boccacce sardoniche che volevanoincutere terrore. Al «dio dell'oro» mescolavasi l'acciottolìo dei piattinilo sbattere dell'usciale e la voce dei tavoleggiantii quali gridavano: - Pannae cioccolata! - oppure: - Tazza Vienna! - Mefistofele salutò lo scarsopubblicoche non gli badavae scese adagio adagio la scaletta col mantellettoad ali di pipistrello che gli sventolava dietro.
- Stasera avremo il gran debutto- osservò un avventore che centellava da trequarti d'ora una chicchera di levante.
- Il successo del giorno! - grugnì il vicinoch'era sempre lì a quell'oracolla coppa di Vienna vuota dinanziun mucchio di giornali sotto la manoe lamoglie addormentata accanto.
Infattidopo il pezzo con variazioni per pianoforte sulla Stella confidentevenne il duetto dell'Ernanie comparve un'altra volta dalla cucina il baritonovestito alla spagnuolacon un medaglione d'ottone che gli ballava sul ventreeun cappello piumato in testafacendo largo a madamigella Edvigetutta dibianco come un fantasmasotto la polvere d'amido e la veste di raso delrigattiere.
- Che braccia magre! - osservò un dilettantefiutandole quasi sotto i guantilunghi e duri di benzina.
Carlo V offrì cavallerescamente la mano ad Elvira per montare sul palcomalfermoe lìnella gran sala piena di fumoil duetto incominciò. Ahimé!una vera delusione pel pubblico e pel Caffettiere. Madamigella Edvige aveva unavoce stridente che faceva voltare arrabbiati anche i tranquilli lettori digiornali; e la poverettapallida come una mortaaveva un bell'annaspare collemanie dimenare i fianchirizzandosi sulla punta delle scarpette di rasotroppo largheper acchiappare le note. Una vocedal fondo della sala gridò: -Presto! un bicchier d'acqua! - E tutto l'uditorio scoppiò a ridere. Carlo Vinvece se la cavava magnificamenteavendo le signore dalla suapei suoieffetti di polpasotto le maglie di colore incertoe le sue note alte cheassordavano perfino i camerierie facevano tintinnare le gocciole dellelumiere. La debuttante scese dal palco più morta che vivaincespicandocollesottane in manofra gli spintoni dei tavoleggianti che correvano di qua e dilàportando i vassoi in aria.
Il dilettante di prima osservò pure:
- Che piedi! -
Seduta in un cantuccio della cucinafra i lazzi degli sguatterie il fumodelle casseruolela debuttante aspettava scorata la sua sentenzaed anche lacenach'era compresa nell'onorarioalla tavola comuneinsieme al cuocoilbaritonoi camerieri ed il maestroancora in cravatta bianca. Quest'ultimoungran buon diavolomalgrado la sua barbonacercava di confortarla come poteva:- La sala era tanto sorda! Chissàuna seconda voltaquando fosse stata piùsicura dei suoi mezzi... - La poveretta rispondeva di tanto in tanto conun'occhiata umile e riconoscente a quelle buone parole. Il baritono intantoconun pastrano peloso gettato sul giustacuore di Carlo Ve un tovagliuolo alcollodivorava in silenzio. - Artisti bisogna nascere! - osservò infine abocca piena.
La padronachiuso il libro e spenti i lumi del Caffèera scesa in cucina adare un'occhiata. Alla povera ragazzache aspettava col viso ansiosodissebruscamente:
- Cara miame ne dispiacema non ne facciamo nulla. Avete visto che fiasco? -
L'altra rimaneva a capo chinocoi fiori di carta nei capellie le spalleinfarinate. - Mangiatemangiate pure! - ripigliava la padronauna buona donna.- Che diamine! Non voglio che la gente vada via a pancia vuota da casa mia -. Ilmaestroche pensava al poile spingeva il piatto sotto il naso. Ma lapoveretta non aveva più fame; si sentiva la gola come stretta dai singhiozzi;andava riponendo adagio adagio nella borsetta i guanti lavatii fiori di cartae le scarpette di raso; senza però potersi risolvere ad andarsene. Dueragazzacciche parlavano forse di tutt'altrosi misero a sghignazzare. Alloraessa salutò umilmente tuttie s'avviò.
Sulla porta un cameriere in giubba stava spengendo i lumie staccava ilcartellone del Concertocanticchiando: - Gran successo del giorno! -
Per la via buia e deserta da stringere il cuorecorrevano le prime raffiched'autunno. Il maestromosso a compassionele era corso dietro.
- Vuol essere accompagnata a casa?... Senza complimenti.
- Nograziesto lontano assai.
- Diamine! diamine! Anch'io sono aspettato a casa... Ma non posso lasciarlaandare sola come un cane... Vuol dire che affretteremo il passo.
- Davvero... Non vorrei abusare.
- Nonospicciamoci piuttosto! Anche per me è tardi... Ci ha qualcuno chel'aspetti?
- Nossignorenessuno.
- Almeno ci avrà qualche conoscente qui?
- Neppuresignore; sono arrivata la settimana scorsacon una lettera pelCaffè Nazionale: una coristamia compagna che vi era stata questa primaverami disse che ci avrei trovato qualche cosanon moltoè veroma nellastagione mortasa bene... Laggiùalla piazzaerano rimaste cinquanta personesulla stradadopo la fuga dell'impresario. Dicono che anche luipoveracciociabbia perso tutto il suo... -
Il maestro pensava intanto a quei giorni terribili in cui una notizia simile eraarrivata come un fulmine al Caffèsulla faccia stravolta di un artistaes'erano trovati tuttiraccolti dallo stesso terroredavanti alla porta chiusadel teatro. Poi erano corsi in folla all'agenziacome pazziin paesestranieroin mezzo a gente di cui non conoscevano la linguae che si fermavasorridendo al passaggio di quella turba affamata. E le lunghe ore dei giorniinterminabilipassate al Caffèil solo rifugiocon una tazza di birradinanzile notti terribili d'invernole camicie portate tre settimaneilmozzicone di sigaro raccattato di nascosto. Sentiva perciò una grande simpatiaper quell'altra derelittae le andava dicendo:
- Coraggio! coraggio! Bisogna farsi animo! L'aiuterò anch'iocome posso... Èvero che non posso far molto... Son forestiero come lei... E non sono statosempre fortunato... Ma vedrà che il buon tempo giungerà anche per lei...Diavolo! diavolo! Dov'è andata a scovarlo quest'albergocosì lontano?
- Me lo indicarono laggiù... perché spendessi meno... Mi rincresce per lei!...
- Nono... È che m'aspettano a casa... Sanno l'orapress'a poco... Mitoccherà inventare qualche storiella... Ma lei non pensi a questo... Deve averaltro in testaleipoveretta! Ci dorma susi faccia animoche quanto potròlo farò ben volentieri per lei.
- Ohsignore!... Com'è buono!...
- Nientenienteuna mano lava l'altra. Se non ci aiutiamo fra di noi! Il maleè che non posso far molto!...
Infine ella disse:
- È qui -. Picchiò all'uscio di un albergaccio d'infima classee gli strinsela mano colle lagrime agli occhi. Aveva la faccia tanto buonacolla barbalungae il misero paletò che il vento gli incollava addosso come fosse dilustrino. Dalla finestra una vociaccia assonnata rispose brontolando:
- Vengo! vengo! Bell'ora di tornare a casa! -
Anche luiin quel momentola guardò negli occhile strinse forte la mano dueo tre voltemosse le labbraper dire qualche cosainfine proruppe: - Me nevadosono aspettato. Buona notte! Buona notte! - E partì correndo.

La stanzucciache pigliava lume da un finestruolo sulla scalacostavacinquantacinque centesimi al giornotre soldi di pane e latte la mattinatrentacinque centesimi il desinare. La sera poi doveva spendere altri sei soldiper andare al Caffè Nazionaledove era quasi certa di vedere il maestrolasola persona che conoscesse nella città. Negli intermezziquando potevaegliandava a salutarla; da lontanoprima di parlaregli si vedeva in viso lastessa notizia scoraggiante: - Nulla ancora! - Poial vederla così triste erassegnatacolla chicchera di Caffè vuota sul tavolinovoleva pagar lui. Maessa non permettevaarrossendo fino ai capelli. - Nosignoreun'altra volta!- Egli non osava insisterema avrebbe voluto che lei lo considerasse come unvero amicocome un fratello. Le confidava i suoi piccoli guaianche luiperincoraggiarla. Le narrò a poco a poco tutta la sua vitaproprio come a unasorellaoggi una cosadomani l'altra: il fallimento dello zio che s'era presocura di lui orfanola vocazione strozzata dal bisognoil pane trovato conmille stenti qua e làtutta la sua giovinezza scoloritascoraggiatasenzagioiesenza fedesenza amore. Essa allora sorridevascotendo il capo con unagrazia giovanile che la faceva tornar bella. - Nono! Ve lo giuro! Mai! -Allora chinavano il visomalinconici. Una volta i loro occhi s'incontraronoesi fecero rossi tutti e due.
Ma spesso egli giungeva accompagnato da un donnone coi baffi come un uomod'armela quale aveva il colorito accesocon un gran cappellone di felpaornato di piume rosseed era serrata in una veste di seta grigia che parevadovesse scoppiare a ogni momento. Quelle volte il maestro non osava muoversineppure; il donnonedal suo postonon lo perdeva di vista un momentosotto lepiume rosse del cappellone. - È la mia padrona di casauna buona donna- leaveva detto lui. - Ma quando ci vede insieme faccia finta di nientepercarità! -
Fu come una fitta al cuore. Il baritono che l'incontrò per la stradatuttasottosoprale propose di accompagnarla. - Permettereste voimia belladamigellad'offrirvi il braccio mioper far la strada insieme? - Ellaricusava. Andava molto lontano... Non voleva abusare... - Ma che! ma che!Bagattelle! D'altronde son ben coperto. Con questa pelliccia quipotrei andaresino al Polo! Senta! senta! Un regalo dei miei amici di Odessa. Tutta volpe diSiberia; una bestia che vende cara la sua pelle a quello che dicono!... Eh! eh!Comincia presto l'inverno quest'anno! Non c'è malen'è vero?... Buona nottemaestro! -
Questi passava rattrappito nel suo paletòdando il braccio alla sua compagnadi cui la veste grigia luccicava come un'armatura sotto il lampione. - È lafiamma del maestro- aggiunse il baritono. - Una piracome vede! Però un buondiavolaccio anche lui! Un po' timidoun po' bagnatocome diciam noima ilmestiere lo conosceve lo dico io! Quando vi siete mangiate quelle note dellacabalettala sera del vostro debuttovi rammentate? dosoldonessuno sen'è accorto. Peccato che non riempiano lo stomaco le note che si mangianoeh!eh! eh! Capiscocapiscol'emozionela paura... Ma bisogna aver la facciatostamia cara; e sputar fuori le vostre note pensando che quanti stanno adascoltarvi sono tutti una manica di cretinise no non si fa nulla! Però vorreisapere chi è quel boia che vi ha messo in questo mestieresenza voce comesiete!
- La voce ce l'avevo. Fui ammalata tanto tempo e d'allora in poiin principiodell'inverno ci ho sempre come una spina qui...
- Ah! ah! Peccato! Alle voltevedetesuccedono di queste cose che si farebbescendere gli dei del cielo!... -
In fondodel cuore ce ne aveva anche luisotto la pellicciae sapendo che eraa spasso cercava di consolarla come poteva.
- Bisogna farsi animomia cara amica. Cent'anni di malinconia non ci danno unasola giornata buona. E poi son cose che abbiamo passate tutti quanti. La vacosìper noi altri artisti. Oggi famedomani fama! Non parlo per meché nonposso lagnarmigrazie a Dio! M'hanno sempre voluto bene da per tutto! Guardatequesto anello di brillanti! E queste catenelle d'orooro di ventiquattrocaratigarantito! Ma ogni santo ha la sua festa. Vedrete che verrà la vostrafestaanche per voi! -
Chiacchieravachiacchieravacon una certa bonomia che gli veniva in quelmomento dallo stomaco pienodalla pelliccia caldadal bicchierino di cognaceanche dalla vicinanza di quella giovane simpaticache sentiva tremare di freddosotto il suo braccionella via deserta. - Vedrete che verrà la vostra festa.Bisogna tentare un'altra volta; in un'altra piazzaben inteso! Peccato che nonabbiate voce! Avete provato se vi vanno le canzonette allegre? Per quelle si faanche a meno della voce. Ma occorrono altri requisiti: del tupél'occhioarditoi fianchi sciolti... e un po' più di polpache diavolo! È vero chequesta può venire... siete giovane!... -
Così dicendo l'esaminava dalla testa ai piediogni volta che passavano sottoun lampionecol fare allegro e senza cerimonie di buon camerata. - E nonbisogna fare tante smorfiecara mia. Colle smorfie non si mangia. E non averneppure dei grilli in capo. Iocome mi vedeteho fatto i primi teatri delmondo; potete dimandare a chi volete di Arturo Gennaroni; eppure quando venneroad offrirmi la scrittura pel Concerto del Caffè Nazionale non mi feci tirar leorecchi. Si piglia quel che capita. Oggi quidomani là. Come? ci siamo digià? Avrei fatto altri due passiper avere il piacere di stare con voi ancora.Il tempo passa presto. Che bella seratain così buona compagnia eh? Un freddosecco che fa bene allo stomaco. È quello il vostro albergo? Hum! hum! Quasiquasi v'offrivo ospitalità in casa mia! -
E com'essa si stringeva all'uscio: - Ehnon abbiate paura! Che non voglio micamangiarvi per forza. Non volete? Buona notte! -

Il maestro le aveva procurato due o tre indirizzi d'agenti teatrali ai qualil'aveva raccomandata. La presentò ad un impresario che montava un'operetta.Tutti rispondevano: - Pel momento non c'è nulla -. L'impresario soggiunge: -Bisogna vedere se vi è rimasta qualche altra cosa di bellofigliuola miaperché la voce se n'è andata. Be'be'se avete di questi scrupoli non neparliamo più! -
Ella tornava indietro così avvilita che il maestro si fece animo per dirle: -Sentite... È un pezzo che volevo dirvelo... Se avete bisogno di denaro...forestiera come siete... senza amici... senza aver altri conoscenti... Non sonriccoè vero... Ma quel poco che ho. No! no! non vi offendete. In imprestitovedete! Come tra fratello e sorella!... -
Ella scoppiò a piangere.
- Dio mio! Vi ho forse offesa? Non intendevo offendervivi giuro. Se mi voleteun po' di bene anche voi!... Io ve ne voglio tanto!... Bastabastaperdonatemi! Sia per non detto! Ma promettetemi almeno che se mai... il giornoin cui... Pensate che vi voglio bene... come un fratello... E vorrei che anchevoi... -
Ella gli stringeva le manicolle lagrime agli occhiper dirgli di sì... cheanche lei... che gli prometteva...
Ma piuttosto sarebbe morta. Da tuttida tuttiprima che da lui! Glien'erariconoscentesì! Avrebbe voluto anzi dirgli tante coseper provarglielochenon ci aveva più nessun altro in cuore... che quell'altro a poco a poco sen'era andato viacom'era andato lontano; e domandargli della donna che spessoveniva con lui al Caffèe le dava una stretta al cuore... Delle sciocchezzevia! ma non sapeva da che parte incominciare. Egli sembrava sulle spineognivolta che erano insiemeguardava intornocon aria inquieta; evitandod'incontrarlanelle vie frequentatescappando subito con un pretesto se c'eragente.
Uno dopo l'altro aveva prima impegnato i pochi oggetti che avessero qualchevalore: gli orecchiniil braccialetto d'argento doratola poca roba d'estatefino il baule dove la teneva. Tanto non poteva più andarsene. Poscia vendettele polizze dei pegni. Alla postal'ultima speranza degli sventurati in paesestranierole rispondevano invariabilmentedue volte al giorno:
- Nulla! -

Una sera che ne usciva barcollanteincontrò il baritonoArturo Gennaronisempre impellicciatoche le fece un gran saluto cerimoniosolevando in alto ilcappello come se volesse dire evviva! Giusto voleva presentarle l'amico che eracon lui - Temistocle Marangoniil primo basso del mondo! - un uomo di mezzaetàtutto capelli e barbacon un cappellone a conodrappeggiato in unmantello grigioe che sembrava che parlasse di sottoterra. - E dove corresignora Edvige? Voleva sfuggirmi? Non è mica in collera con mespero! -
Ella si scusava di non aver udito perché credeva che non dicesse a lei: - Io michiamo Assunta. Ma sul cartellone la padrona del Caffè pretendeva che quel nomenon facesse...
- È veroè vero. Anche il mio è un nome di guerraper riguardi di famigliasa bene. Mio padre è il primo negoziante di Napoli. Laggiù hanno ancora deipregiudizi... Sa bene... Veniamo con leise non le dispiace -.
Strada facendo aggiunse che era libero quella seraperché la padrona delCaffè Nazionale l'aveva licenziato - una cabala che gli avevano inventatocontro per gelosia di donne. Temistoclelìpoteva dirlo. - Il basso agitavail barbone per attestarlo. Anche a lui avevano rubato la scritturaquell'animale di Gigi Lottiuna scrittura di seimila franchiviaggio interopagatocol pretesto che la conferma al telegramma non era venuta. Ma gli volevarompere il musola prima volta che l'incontrava alla birreria! Gennaroniintanto che il suo amico si sfogavachiedeva ad Assunta cosa avrebbe fattodella sua serata. - Si voleva andare al Concerto del Caffè Nazionale?Sentirebbero che porcherie! Lui se le sarebbe godute mezzo mondoe si sarebbefregate le mani magari se quella carogna della padrona fosse venuta ginocchionia supplicarlo e ad offrirgli doppia paga. - Andiamoandiamo. Pago ioTemistocle! Dei soldigrazie a Dioce n'è sempre qui. Veniteci anche voibella Assuntina. Chissà che non troverete il fatto vostro? -
Sul tavolatoin mezzo al gran fumo della salauna donna cogli occhi neri comeavesse il colèrae i pomelli color cinabronuda fino allo stomacostrillavacon voce rauca delle canzonette che facevano andare in visibilio l'uditorioschioccando le ditae con una mossa dei fianchi che faceva svolazzare la suagonnella corta sino ai legaccioli. Un vecchiottoseduto in prima filacolmento sul pomo dell'ombrellosi crogiolava dal piacereammiccando ai viciniridendo nella bazzaapplaudendo anche col cranio calvo sino alle orecchie. Unamodesta famigliuolapadremadre e figliuoli in abbondanzaera venuta asolennizzare la festa al Caffèridendo saporitamente; solo la maggioreunaragazzina magra e nera come un tizzonedimenticava persino il sorbetto perascoltare la cantatricesgranando degli occhi enormiseria seria. Altrinellasalavociavanopicchiavano colle mazze ed i pugni sui tavolinifacevano unchiasso indiavolatoaccompagnando il ritornellointerrompendolo conesclamazioni da trivio. Gennaroni ripeteva: - Ditemi poi se questa è arte!Ditemi se non è vera porcheria! - Tutt'a un tratto si vide la gente affollarsidavanti al palcointorno a un omettino in tuba il quale gesticolava colle maniin aria. La donna invece si ostinavacol viso sfacciatocercando cogli occhinella folla i suoi protettori. Un talevestito da operaiocoi baffi grossi ela faccia durasi arrampicò sul tavolato in mezzo ai fischi che assordavanoeprese la cantante per le spallespingendola verso due questurini in uniformeche s'erano fatti largo a furia di spintonie agitavano le braccia. Il grupposcomparve nella follaverso la cucinafra un uragano di fischid'urli e dirisate. Il baritono si dimenava come un ossessosmanacciandogridando: -Bravo! bis! - poi corse a stringere la mano al maestroancora sbalorditodinanzi al pianoforte.
- Che cagnaraeh! Ma la colpa non è tuapoveretto! Ci ho gusto per quellacarogna della padronala quale pretendeva di averne le tasche piene di musicaserialei e il suo pubblico. Come se non glielo avessimo fatto noi questopubblico. E non le avessi fatto guadagnare più quattrini che non abbia capellinella parruccaquella strega! -
Intanto si sbracciava per farsi scorgeregesticolandogridando fortecalcandosi ogni momento la tuba sull'orecchioposando di tre quarticol baverodella pelliccia rialzato sino alle orecchiemalgrado il gran caldoe unfazzoletto di seta al collocome avesse avuto un tesoro da custodirvi.
- Dovresti farle intendere ragionea quella stupida. Dovresti metterti inmezzo. S'è quistione di soldisi può aggiustarsi. Non ho mai fatto questionedi quattrini per l'arte. Ma bisogna concludere subito. Sì o no! Ho delleofferte magnifiche per l'estero. Domattina devo dare una risposta -.
Poi tornò al suo posto trionfantefacendosi largo nella folla. - Ah! ah! ve lodicevo io! Ora tornano a pregarmi! Mi hanno offerto carta bianca. Hanno bisognodi me per fare andare la baracca! -
Il basso gongolavacome se si fosse trattato di luipicchiava sul tavolino perordinare altra birra. - Ogni conoscente che entrava nel Caffè lo invitava aprendere qualche cosafacendo segno coll'ombrellochiamando ad alta voce. -Tienti sulla tuasaiGennaroni! Fatti tirar le orecchieprima di dir di sì!- L'altro scrollava il capominacciosocome a dire: - Vedrete! vedrete! - Poisi alzava in piedi e faceva le presentazioni in regola: - Romolo Silvaniprimoballerino. - Augusto Baracconiprimo tenore assolutoe suo fratello. - ErnestoLupidistinto pittore. - Fiasco completoamici miei! Peccato che siate venutitardi! - Essiper cortesiatornavano a pregarlo che narrasse. Ma Baracconifratello stava col naso nel bicchieretutto intento a godersi il trattamento;Lupi disegnava delle caricature sul marmo del tavolino; il tenore diceva roba dachiodi di un collega sottovoce con Marangonie Silvanidall'altro latodomandava se quella bella giovane appartenesse all'amico Gennaronilisciandosii baffettini neri come la peceaccarezzando la chioma inanellatacomponendo lafaccetta incartapecorita a un risolino seduttore. Tutti quanti peròa ognipezzo nuovoquando Gennaroni atteggiava il viso a una boccaccia di disgustofacevano coro per sdebitarsi coll'amicobattendo in terra coi tacchi e coibastonivociando - basta! basta! - mettendosi a sghignazzare. Il baritonoinfinevedendo che il maestro non osava prendere le sue partiquasi fosseinchiodato al pianoforteandò a salutare la padrona del caffècollascappellata altatutto gentilezzementre essa cambiava i gettoni e tenevad'occhio i garzoni che uscivano dalla cucina. In quella entrò il donnone delmaestropiù accesa in viso che mai. Aveva udito il baccano dalla stradamentre veniva a prendere Bebè.
- Nonolui non ci ha colpa- le dicevano gli amici.
Gennaroniche tornava dal banco fuori di séaggiunse ch'era proprio un bebèun pulcino bagnatouno che non era capace di dir due parole per un amico. Ledomandava ridendo se le capitava di dargli le sculacciatequalche volta.
L'altra continuava a riderescrollando le piume del cappello. - Nonoeracosì buono il poveretto! proprio come un fanciullo! A lasciarlo fare se losarebbero mangiato vivocerte sgualdrinelle che sapeva lei! - Infine se loprese sotto il braccioe se lo portò via. Gli altri se n'erano andati pure aduno ad uno. Il basso protestò che correva a vedere se era giunto il telegrammae piantò lì il bicchierone vuoto su di una pila di piattelli. Assunta rimanevasbalorditacolla tazza a metà pienail cappellino di paglia e la eterna cappagrigia che la facevano sembrare più misera. Nell'uscire barcollava perché nonaveva preso altro tutto il giornoquasi il chiasso le avesse dato alla testa. -Che avete? - chiese Gennaroni. - Ehla birra! Non ci sarete avvezza! - Essainvece pensava a quella disgraziata che l'avevano mandata via coi questurini. -Non temeteno; che il pane non gli manca a quella lì... e il letto neppure! -conchiuse il baritono. Tirava ventoe cominciavano a cadere i primi gocciolonidella pioggia. - Sentitecara Assunta. Adesso dovreste fare una bella cosa:venirvene a casa mia a scacciare insieme la malinconia! Avete visto come fannogli altri? Ciascuno colla sua ciascuna! Ci avete il vostro ciascuno voi? -
Ella non rispondevacolla testa sconvoltail cuore stretto da un'angosciavagaun senso di sconcerto nello stomacodavanti agli occhi una visioneconfusa dell'albergatrice arcigna che voleva esser pagatadell'impiegatopostale che le rispondeva - nulla! -dei visi sconosciuti in mezzo ai qualiandava e veniva tutto il giornodella donna enorme che si era portato ilmaestro sotto il braccio - intirizzita dalla tramontanacoi ginocchi che le sipiegavano sotto. L'altro seguitava a stordirla chiacchierandosoffiandole sulviso le sue parole calde e il fumo del sigarostringendole forte il bracciosotto la pelliccia. Allo svoltare di un'altra via essa alzava gli occhie siguardava intornobalbettando: - Dove andiamo? Dove andiamo? - come fuori disé. Gennaroni le diceva adesso delle parole dolci e sonore che la stordivano: -vieni meco! Sol di roseintrecciar ti vo' la vita... - colla chiave che s'eralevata di tasca aveva aperto un usciolino sgangherato. Nell'androne buioprimad'accendere un fiammiferose la strinse sul costato come nel melodrammadi trequartiun braccio sulla spalla e l'altro sotto l'ascella.
Là nel lettuccio magro e cencioso della cameraccia nuda che prendeva lume da uncortiletto puzzolenteella gli narrò il povero romanzo della sua vitaperquel bisogno d'abbandono con cui gli si era datamentre egli sbadigliavacogliocchi gonfie l'alba insudiciava le pareti untuoseda cui pendevano appesi aichiodi i costumi stinti da teatro. - Aveva amato un giovane che usciva dalConservatoriocon due o tre spartiti prontie intanto s'era messo a dozzina incasa loroper sessanta lire al mesetutto compreso. Gli altri pigionali eranoun professoreun impiegato al dazioe due studenti. Sua sorella lavorava in unmagazzino di guanti; il babbo era guardia municipale; lei gli avevanoconsigliato d'imparare il cantoche sarebbe stata una fortuna per tuttie leavevano fatto lasciare anche il mestiere d'orlatricecol quale si sciupava lemaniper novanta centesimi al giorno. Finché giungevano le vacanzenove mesidell'annosi stava piuttosto bene. Poi quando gli studenti se ne partivanoilprofessore andava a fare i bagnie l'impiegato desinava in un'osteria fuoriporta per risparmiare i soldi dell'omnibussi restringevano un po' nelle spesee il giovane del Conservatorio s'adattava con loroproprio come uno dellafamiglia.
Le domeniche andavano a spasso insieme; qualche volta egli portava un belcocomeroe si faceva festanel terrazzino. Soleva dire scherzando: - Ce nericorderemo poiquando saremo ricchisora Assunta! - Era così buono! avevanegli occhi un non so checome vedesse lontano tante cosee diceva che l'artegli spingeva delle nuvole d'oro sconfinate nel pezzettino di cielo che si vedevaal di sopra del vicolettoallungando il collo. La sera si metteva a sonare albuiopratico com'era della tastieraed essa stava ad ascoltare più chepotevadietro l'uscioquella bella musica che le penetrava al cuore come unadolcezza.
Egli che se n'era accorto infinele diceva di tanto in tanto: - Le piace? dicedavvero? - Voleva pure che Assunta gli cantasse la sua musica. Un giorno che lasua voce gli era piaciuta tantotanto che a lei stessa le sembrava fosseun'altra che cantasseegli si alzò all'improvviso dal pianofortee la strinsefra le bracciatutta tremante anche leisenza sapere quel che si facessero.
La mammapovera e santa donnanon ne seppe nulla. Allorché fu impossibilenascondere quello che era avvenutoil giovane scappò al suo paeseper pauradel babbo municipale. Ella ne fece una malattia mortaledurante la quale lamamma sola veniva a trovarla di nascosto. Un giorno le disse piangendo che luise n'era andato via lontanoin Greciain Turchiamolto lontano insomma! Erasvanita l'ultima speranza. All'ospedaleappena fu guaritanon vollerolasciarla. Il babbo aveva giurato che non l'avrebbe più ricevuta in casa sua.Un avventore della guantaia dove lavorava sua sorella le aveva procurato unascrittura di corista al Politeama. D'allora aveva girato il mondoda un teatroall'altroviaggiando in terza classedormendo in alberghi dove la nottevenivano a bussarle all'uscio e a minacciarladigiunando spesso per mantenersionestapassando lunghe ore nell'anticamera di un'agenziaassediando ilcamerino dell'impresa per essere pagataimpegnando la roba d'estate percoprirsi l'inverno. A Mantova s'era ammalata d'anginamentre provavano il RuyBlase aveva perso la voce. La mamma era morta giusto mentre eraall'ospedale. Il babbo s'era rimaritato. La sorella era andata via di casa pernon stare colla matrigna.
- Un bel porcoquel tuo allievo del Conservatorio! te lo dico io! - conchiuseGennaronistirandosi le braccia.
Ora pur troppo gli era cascata addosso quella tegola sul capo! per un momento didebolezzaper aver troppo cuoree non trovare il verso di dirle: - Cara miaogni bel giuoco vuol durar poco! - Ella non se ne dava per intesaaveva fattolì il nido come una rondine. Una che non era neanche buona a stirargli isolinio a fargli uno stufatino con patate. Giusto in quel momento poi che sitrovava a spassoe i soldi volavano come avessero le ali! Vero che la poverettanon si lagnava maifossero carezze o schiaffimangiava pocoe non chiedevaneppure un paio di scarpe. Matantoera un altro peso. Agli amiciche lefacevano l'occhiettoGennaronifra burbero e scherzososoleva dire: - Dacedere con ribassoper liquidazione! -
Avevano preso a frequentare un caffeuzzo oscuro annesso al teatrouna specie disuccursale dell'agenziadove bazzicavano soltanto gli artisti a spassoche vifacevano un gran consumo di virginia ai ferri e d'acqua frescasparlando deicolleghi assentiportandovi le prime notizie dei fiaschisempre a caccia dicinque liree giocando alle carte sulla parola. Gennaroni vi conduceva la suaamante di prima seraper risparmiare il lume; la faceva sedere nel suocantucciolì vicino alla stufadove nessuno andava a disturbarlagiacché ilgarzone del caffè era avvezzo a non seccar la gente se prima non lo chiamavanoe si metteva a giocare a scoponeoppure se ne andava pei suoi affari. Spesso lediceva: - Saimia caraio non sono geloso! - Ma il primo ballerino si limitavaa strizzarle l'occhio da lontanocol gomito appoggiato al bancoe il bustoinarcato sotto la giacchetta bisunta. Marangoniall'ombra del suo enormecappellacciofacendole il solletico colla barbona nel parlarle all'orecchiolechiedevacolla sua bella voce che sembrava venire di sotto il tavolino: -Quando verrà il mio quarto d'ora? - E Lupi diceva che voleva farle il ritratto«se era tutt'oro quello che riluceva». - Oro di coppellacom'è vero iddio! -sghignazzava Gennaroni. Il tenore invece non parlava d'altro che di scritture edi telegrammi che aspettava; di cabale che gli montavano contro tutti i giorni;di gente a cui voleva rompere il muso. Dell'amoreluinon sapeva che farne:era buono da mettere in musica soltanto; più d'una volta cogli amici avevadetto chiaro e tondo quel che pensava di Gennaronilui stupido che si eraappiccicato quel cerottouna che tossiva semprecome se gli fossero mancatealtre donnea quel macaco!
Una sera capitò anche il maestroil quale aveva fatto san Michele lui pureora che al Caffè Nazionale c'era un giocatore di bussolotti. Gennaroni sifregava le mani sbraitando: - Vedrete che chiuderanno fra due mesi! Ve lo dicoio! - Assunta si sentì come un tuffo nel sangue appena vide entrare il maestroe avrebbe desiderato che egli non si accorgesse di leinel suo cantuccio pressola stufa. Il poveraccio era così disfatto e scombussolato che non sapevanemmeno come rispondere a tutti coloro che gli facevano ressa intorno. Poicomela scorsecogli occhi addosso a luiandò a salutarladomandandole comestavase aveva trovato qualche cosanel tempo che non s'erano più visti. Purtroppoanche lui non aveva trovato nulla!... se no glielo avrebbe fatto subitosapere!... Dopo che il maestro ebbe voltate le spalleincominciarono leosservazione sul conto di lui. - Quello lì se ne rideva! - Era ben appoggiato!- Appoggiato a un vero pilastro! - Baracconi disse una parolaccia.
Verso la fine di dicembre gli avventori del Caffè del teatro sembravanoammattitiformando dei crocchi animatidisputandosi fra di lorocavando ognimomento dal portafogli lettere e telegrammi sudicicorrendo sull'uscioognivolta che s'aprivaper vedere se giungeva un fattorino del telegrafo. Il domanidi san Stefano erano tutti lì dalle settedavanti la porta del Caffèsottola pioggiacoll'ombrello apertoansiosiguardandosi in cagnesco fra di loro -delle facce nuove che si vedevano soltanto nelle grandi occasionipastranisenza pelo e stivaloni infangatiscialli messi a guisa di pledcappelloni didonna e sottane che sgocciolavano sul marciapiedi.
Alcuni dei vecchi mancavano: il tenoreun bassorimorchiatovi da poco dalSilvanie due o tre altridi cui i rimasti dicevano corna. Attraverso l'uscialesi udiva come un brontolìo sordo di rivoluzione nello stanzone vuotodove ilLupi beveva a piccoli sorsi un Caffè caldoschizzando la testata di ungiornale davanti al garzone in maniche di camicia che gli si buttava addosso pervederecol ventre sul tavolino.
Assuntarimasta a casastava facendo cuocere due uova in una caffettieraposata sullo scaldinoquando udì picchiare all'uscioe le comparve dinanzi ilmaestro all'improvviso - così in camiciuola com'era e ancor spettinata. Eglipure era sossopratalché non si avvide nemmeno dell'imbarazzo di lei.
- Lei!... Lei qui! Come ha saputo?... - Gennaroni stesso. Siamo stati insieme -.Ella avvampò in visocercando macchinalmente i bottoni della camiciuola. -Venivo a portarle una buona notizia... Un mio amico che è incaricato di formareuna compagnia pel Cairo... m'ha promesso di scritturarla.
- Ma... Non saprei... così lontano...
- Nonobisogna risolversi piuttosto... Bisogna accettare.
- È che... dovrei parlarne prima a un'altra persona... Non potrei risolvermi dasola... così su due piedi... -
Il maestro le afferrò le maniquasi per forza:
- Bisogna accettare! Dica di sì... È pel suo meglio! -
Essa non l'aveva mai visto a quel mondo. Alloracolla gola stretta daun'angoscia vagasi fece animo per interrogarlo... Voleva sapere... - Gennaronipartirà stasera col diretto. Deve imbarcarsi a Genova domani- disse infine ilmaestro. - Chi gliel'ha detto? - Lui stesso; lo sanno tutti -. La poverettacercò una seggiola brancolando. - No! no!... Non può essere! Non mi ha dettonulla!... Stamattina ancora!... - Glielo dirà poiquand'è il momento dipartire... A che scopo tormentarla avanti tempo? - È vero! è vero!... -
Allora si mise a piangere cheta cheta nel grembiule. Posciaquando fu un po'più calmasi asciugò gli occhisenza dir nullae si mise a preparargli lavaligiaun bauletto di cuoio nero tutto strappi e scontrini di ferrovia: lecamicie di flanellala scatola dei polsinile pantofole slabbratela pipanella quale egli soleva fumareil berretto di pelo che teneva in casaicostumi da teatro appesi ai chiodi - ogni oggetto che toglieva dal solito postosi sentiva staccare pure dal seno qualche cosadinanzi a quelle pareti nude. Ilmaestro l'aiutava. Gennaronitornando a casali trovò in quelle faccende. -Bravi! Bravi! Gliel'hai detto? - In fondo era davvero un buon diavolacciopenetrato sino al cuore dalla dolcezza con cui Assunta s'era rassegnata.
- Così buona! così giudiziosapovera ragazza! Tutto l'opposto del tuocarabiniereeh! -
Egli voleva anche abbracciarla dinanzi al maestrostrizzava l'occhio a costuiperché li lasciasse soli. Ma Assunta gli faceva segno di non andarsenecogliocchi gonfi di lagrime. - Non l'avrebbe dimenticatanofinch'era al mondo! Delresto le montagne sole non s'incontrano. Intanto dava una mano anche lui peraiutarlacorrendole dietro dal cassettone al lettosu cui era il baulecollebraccia piene di roba; voleva che andassero tutti e tre insieme a desinare alCaffèl'ultima voltae finir la giornata bene.
Il maestro si scusò. - Ah! ah! il carabiniere! - Però promise di trovarsi allastazione. - Sìsìbenone! le farai un po' di compagnia. Poi mi affido a teper trovarle la scrittura. È un pulcino bagnato questa poverinase non c'èchi l'aiuti! - Voleva lasciarle anche una ventina di lirecaso mai leabbisognassero... Ma essa si ribellòper la prima volta. - Scusa! scusa!Dicevo caso mai non firmassi subito la scrittura... Ma non c'è bisogno d'andarein collera. L'ho fatto a fin di bene -. Ella si intenerì piuttosto. Per leiaveva fatto anche troppo! per tanto tempo! Al Caffè poi non le riescì dimandar giù un solo bocconementre egli mangiava per due e cercava di tenerlaallegra. Le offerse anche di farle una sigaretta per scioglierle quel gruppoalla gola - roba d'isterismo.
Alla stazione c'era tutta la compagnia che partiva con lui. Dei poveri diavoliche litigavano coi facchinidue o tre prime parti che pigliavano i posti disecondacolla borsetta ad armacolloe le mamme dietrocariche di fagotti e discatole di cartone. Gennaroni disse alla sua amica:
- Tienti un po' in dispartecome tu fossi col maestro -.
Così lo vide per l'ultima voltacol biglietto nel nastro del cappelloallegroe chiassone come al solitosalutando questo e quello. - Addio! Ciao! Buonafortuna! -
S'era preso anche in mano la gabbia del pappagallo di una compagna di viaggio.Dalla cancellata fuori la stazione lo videro sbracciarsi a collocare tutto illoro arsenale di scatole e cappellini mentre il treno fuggiva.

Di lui le rimase un bel ritratto in fotografiaformato gabinettoin posa ditre quarticolla bocca sorridentela pelliccia sbottonataun mazzetto diciondoli sul ventre - e la sua brava dedica sotto: «Ricordo imperituro!».
In quanto alla scrittura non se ne fece nulla. L'impresario anzituttovolevabelle ragazze e non dei cerotti come quella lì. - Le parecaro maestro? - Ilpoveraccio non si diede vinto ancora; continuò ad arrabattarsi come undisperato per leicorrendo di qua e di làraccomandandola a quanti conosceva.Ma ciascuno pensava ai propri casi in quel momento. Ora che Gennaroni avevapiantata la ragazza senza voce e senza quattrinidoveva essere un affar seriolevarsi da quella peceuno che vi si lasciasse prendereper buon cuore o peraltro.
Gli amiciquando essa capitava al Caffè per aspettare il maestro che dovevaportare la rispostase la battevano uno dopo l'altroprimo di tutti ilSilvanicolla giacchetta più stretta che mai. Il garzone stessocosìprudente di solitoveniva ogni momento a strofinare il marmo del tavolino conun cenciovedendo che non ordinava nulla. Fino il maestroa poco a pocoscoraggiato di portarle sempre la stessa cattiva nuovanon si era fatto piùvedere. Però essa gli aveva detto: - Non si affanni tantopoverettochéqualcosa ho già trovato -.
E quando eglifacendosi rossoera tornato sull'offerta di denaroessa gliaveva risposto che non occorreva. A lui glielo avrebbe dettodavverodi tuttocuore!
Una domenicaverso la fine di luglioil maestro incontrò Assunta che uscivadalla bottega di un calzolaio. Essa avrebbe voluto evitarloma l'altro già lesi accostava col cappelluccio di paglia ritinto in mano. - Come va? Tanto tempoche non ci siamo più visti! - Assunta balbettavacercando di nascondere unfagottino che portavafattasi di brace in viso.
Il maestro cercava le parole anche lui: - Almeno un vermuttino. Qui a due passial solito Caffè!... - Essa non volevavestita a quel modo!... Infine silasciò condurre a un tavolinetto fuori dell'uscioall'ombra del tendone.Dapprincipio stettero un po' in silenzioguardandosi in viso. Ella sembravapiù grassadisfattabianca come ceracon due enormi pèsche sotto gli occhie le mani pallide colle vene gonfie. Il giovanotto aveva la barba lungalabiancheria sudiciai calzoni sfrangiati che cercava di nascondere sotto iltavolino. A poco a poco Assunta gli narrò che s'era acconciata colla padronastessa della casa; pensava alle speseriguardava la biancheriateneva d'occhiola pensionee ci aveva in compenso vitto e alloggio.
Il tempo che avanzava poi s'era rimessa al suo mestiere d'orlatrice. - Con leinon mi vergognoguardi! - Anche lui fece delle vaghe confidenze: le cose nongli erano andate sempre bene; la stagione morta si portava via quelle pochelezioni... - Accennò pure di aver cambiato alloggio... - Del resto i suoi abitiparlavano per lui. Assunta non volle altro che un caffè di quattro soldi. Egliinvece ordinò un giornaleun giornale qualunquetantoseguitavano adiscorrere con un senso invincibile di malinconiache pure aveva la suadolcezza. Di tratto in tratto si guardavano negli occhie ripetevano con unsorriso triste: - Guarda che piacere! -
Si udiva parlare a voce alta nel Caffè; e degli scoppi di risadellediscussioni tempestoseaccompagnate dalla stessa nota bassa del Marangoni chetrinciava da caporione.
Assuntaallungando il collo dentro l'uscialelo vide seduto in mezzo a uncrocchio di sfaccendatidinanzi ad un vassoio di bicchieri vuoti e unabottiglia d'acqua di seltzcon un vestito nuovo del Bocconi e la barba tagliataa punta come un damerino. Da lì a un po' se ne uscì fuoriseguìto dagliamici che gli facevano codazzo. Silvani persino lo tirò in disparte sulmarciapiede oppostosupplicandolo sottovoce con tutta la persona umile. Ilbasso scrollava le spalle e il capocolla barba dura come una spazzola. Infinevolse un'occhiata sprezzante verso il maestroil quale s'era fatto pallido alvederloe non l'aveva salutatoe cavò fuori il borsellinoscantonandoseguìto dal ballerino piegato in due. Passava della gente in abito da festa;delle famigliuole intere che andavano a sentir la musica al giardino pubblico.Posciadi tratto in trattosuccedeva il silenzio grave delle ore calde delladomenica.
Infine Assunta e il maestro lasciarono il Caffèe si avviarono ai Boschettirasente al muronella striscia d'ombra che orlava il marciapiedi. Assunta avevadetto ch'era libera fino a serae anch'esso non temeva più di farsi vedereinsieme a lei. Il largo viale ombroso era deserto. Di tanto in tanto soloqualche coppia d'innamorati che passeggiavano sotto i platanicercando i sedilipiù remoti. Anch'essi... Le ore scorrevano e non sapevano risolversi alasciarsi. - Ah! se ci fossimo conosciuti prima! - esclamò infine il maestro.
Ella alzò gli occhi su di luisi fece rossae li chinò di nuovo. Il maestrogiocherellava col fagottino che Assunta teneva sulle ginocchia.
- O piuttosto se avessi fatto il calzolaio!... No... dico così... Son dellegiornate nere... Passeranno! - Chiamò uno che andava vendendo dell'acquafrescain un barilotto attorniato di bicchierie offrì da bere anche a lei.L'uomo andò a mettersi in fondo al vialecol barilotto posato a terracomeuna macchietta nera nel verde. Sembrava di essere a cento miglia dalla cittànell'ombra e nel silenzio. Poco per volta il maestro le disse che l'aveva amatasìproprio! tante volte quel segreto gli era spirato sulle labbra! Essa losapevaaccennando col capo che teneva chino in aria di rassegnazione dolorosala quale scorgevasi anche dall'abbandono di tutta la personadalla trecciaallentata che le si allungava sul collo. - Allora perché... perché ci siamotaciuti?... - La poveretta lo guardò in tal modoattraverso le lagrime che lescendevano chete chete per le gotech'egli abbassò gli occhi.
- Sìè verofu il destino! Quell'altra non sa neppur il sacrificio che le hofatto... per debolezzaper bontà di cuore... e c'è chi dice per un tozzo dipane! Me lo merito. Ora essa m'ha piantato pel Marangoni che la batte e fa lostrozzino coi suoi denari. Come ho dovuto sembrarle spregevoledica!...
- No... no... Era destino!... Anch'io!...
Però sentivano entrambi una gran dolcezza nel dirsi tutto ciòseduti accantosullo stesso banco. Egli aprì la bocca due o tre volte per farle una domandache non osava. Poi strappò un ramoscello che pendevae si mise a sminuzzarloin silenzio. Assunta più di una volta s'era mossa per andarsenesenza avernela forza.
La sera era venuta prima che se ne fossero accortiuna sera tepida e dolce.Assunta stava col capo chinocol seno gonfiole mani pallide e venated'azzurro sulle ginocchiacome ascoltando le parole che lui non osavapronunziare. Infine egli le prese in silenzio una di quelle maniin un modoeloquente. Per tutta risposta ella aprì le braccia che si teneva sulleginocchiacon un gesto desolatoe scotendo il capo: - Noguardi... non posso!-
A quell'attoper la prima voltail maestro la fissò in un certo modo chediceva d'aver capito ogni cosae glielo disse nell'occhiata ingenua e desolatache le posò in grembo.
- Almeno le ha scritto? - balbettò infine.
Ella rispose di no chinando il capo rassegnato.
Gennaroni ricomparve al Caffè verso il principio dell'invernomasticando dellepastigliecol fez come un turcoe le tasche piene di bottigline di marsalaper le quali ebbe a dire agli amici che volevano fargli festa:
- Adagio! adagiomiei cari! Questi qui sono campioni! Voialtri non mi daretecerto delle commissionieh!... - To'! il maestro! Ben trovato! Sosobriccone! So che me l'hai portata viatraditore! Dico per scherzosai! Nonsono in collera con tetutt'altro! Non siamo mica dei piccioni per far semprelo stesso paio! Specie uno come me che ha da girare il mondoora che mi sondato al commercio. Non c'è altro per guadagnar quattrinite lo dico io! Tuttoil resto... roba da pezzenti! Tanti saluti ad Assunta. Oppurenonon le dirnulla. A buon rendere -.